Riuso delle acque reflue e dei nutrienti

Il riuso delle acque di scarico è una buona pratica ancora poco diffusa in Europa. Vi sono ostacoli tecnici, normativi (in particolare in Italia) e culturali che ne rendono difficile l’applicazione ma porterebbe grandi benefici ambientali e – in prospettiva – anche economici.

Abbracciando i concetti dell'economia circolare, IRIDRA nei sui progetti propone, ogniqualvolta ne sia possibile, soluzioni basate sulla natura (NBS - Nature-Based Solutions) volte al riuso dei reflui ed è in primo piano nella ricerca scientifica volta allo studio delle soluzioni ottimali orientate all'economia circolare in questo settore.

Vantaggi
  • lasciamo più acqua in fiumi e falde
  • produciamo meno inquinamento idrico
  • riutilizziamo i nutrienti per l'agricoltura o li re immettiamo nei cicli biogeochimici naturali

Le acque trattate in uscita dai depuratori possono essere destinate a usi non potabili, principalmente l’irrigazione, ma anche ad alcuni usi civili (lavaggio strade, antincendio, ecc.). Si tratta di un argomento molto noto e discusso da decenni, nell’ambito del dibattito sulle fonti idriche “non convenzionali”, accanto ad altre possibili soluzioni come la dissalazione delle acque marine e la “pioggia artificiale”. Si guarda quindi al riuso, solo dal punto di vista delle sue potenzialità di offrire risorse idriche aggiuntive rispetto a quelle naturali.

Ma il riuso dell’acqua è fondamentale anche per un’altra ragione: il recupero dei nutrienti contenuti nelle acque di scarico. Il riuso irriguo delle acque in campo agricolo o forestale, può essere infatti il modo per restituire i nutrienti (azoto, fosforo, potassio, ecc.) ai cicli biogeochimici naturali; cicli, che, con la diffusione del WC a sciacquone, sono stati alterati recapitando in nutrienti alle acque. Osservata da questo punto di vista, la pratica del riuso delle acque di scarico, assume un significato ben diverso: non più una soluzione estrema, da applicare solo quando non si riesce a trovare altre risorse, ma una buona pratica da applicare sempre, a meno che particolari condizioni la rendano effettivamente impraticabile.

Un altro aspetto importante da considerare è che in gran parte del mondo, inclusa l’Italia, si fa da sempre “riuso indiretto” o “non pianificato” delle acque di scarico. Infatti, ogni volta che si preleva acqua da un fiume che ha ricevuto a monte uno scarico si fa, in pratica, riuso. E’ molto difficile quantificare quanta acqua venga riusata in questo modo, ma certo è una quantità rilevante. Tale modalità di riuso comincia – negli ultimi anni, soprattutto in Pianura Padana – ad essere attivamente promossa da strategie che puntano a recapitare gli scarichi dei depuratori non su corpi idrici naturali ma sui canali di irrigazione, in modo da permetterne il riutilizzo.

Tra i paesi che hanno la maggior esperienza di riuso delle acque di scarico vi sono gli Stati Uniti, l’Australia e Israele. Quest’ultimo ha da sempre considerato le acque usate come parte del patrimonio idrico nazionale: già nel 1970 circa il 10% del potenziale idrico di Israele era costituito da acque di scarico. Negli Stati Uniti la pratica del riutilizzo ha preso piede soprattutto negli Stati desertici del Sud: in particolare la California e il Texas. E’ proprio in California che sono state approvate le prime leggi che introducevano standard di qualità alle acque da riutilizzare, per garantire che la pratica del riuso non provocasse problemi di carattere sanitario.

Pianificazione del riuso delle acque reflue

Proviamo ora ad immaginare di pianificare una strategia di riuso su un determinato contesto territoriale: è un’ipotesi non lontana dalla realtà, in quanto i Piani di Tutela delle Acque di diverse Regioni prevedono – e in qualche caso prescrivono – il riuso delle acque di diversi impianti di depurazione.

La prima cosa da tenere a mente è che il riuso non si pianifica a partire dalla domanda: è fondamentale infatti ricordare che il riuso ha tre obiettivi tra loro distinti:

  1. rendere disponibili risorse idriche non convenzionali per usi agricoli, industriali e urbani con limitate esigenze di qualità;
  2. rimuovere gli scarichi idrici dai corsi d’acqua superficiali
  3. reimmettere i nutrienti contenuti negli scarichi sui suoli (ottenibile solo con il riuso per irrigazione).

Ne consegue che una strategia di riuso non deve essere orientata solo a far fronte ad eventuali fabbisogni di risorsa idrica (obiettivo 1), ma anche a valutare possibili forme di riuso che permettano di raggiungere gli obiettivi 2 e 3. Molto interessante, a questo proposito, è l’esperienza svedese di impianti forestali per la produzione di biomassa (vedi “aree filtro forestali”), alimentati con acque depurate: è una delle possibili destinazioni di acque usate, che permette di eliminare scarichi e di riciclare i nutrienti in essi contenuti – evitando il ricorso a sistemi terziari di denitrificazione e defosfatazione –, creando benefici aggiuntivi (la produzione forestale alimenta centrali a biomasse per la produzione di energia e calore).

È poi fondamentale l’integrazione tra la gestione del sistema fognario depurativo, le esigenze degli utilizzatori delle acque usate e le esigenze ambientali. Questa integrazione riguarda sia gli aspetti qualitativi che quantitativi. Per gli aspetti qualitativi, ovviamente sarà necessario verificare le necessità dei possibili utilizzatori: un comparto produttivo orticolo avrà necessità differenti da seminativi o da colture “no food”. È necessario “pensare” il processo depurativo in funzione delle caratteristiche e della qualità richiesta dal riuso. Ovviamente, come già detto, le esigenze qualitative dovranno tener conto non solo delle caratteristiche chimiche e microbiologiche che vanno garantite per permettere un riutilizzo sicuro, ma anche dei nutrienti, di cui invece potrà essere evitata la rimozione, con vantaggi per il gestore.

Dal punto di vista quantitativo, occorre tener presente che un eventuale riuso agricolo è limitato al periodo irriguo – circa 6 mesi – per cui sarà necessario pensare ad una destinazione dello scarico nel periodo invernale, non irriguo. E’ probabile che sia possibile recapitare lo scarico in un corso d’acqua, che nel periodo invernale presenterà una portata adeguata a riceverlo, ma è possibile anche immaginare un’altra destinazione (una zona umida artificiale, un impianto di forestazione con specie adatte a sopportare la sommersione invernale, una nuova area verde). Inoltre, per meglio gestire i volumi d’acqua destinati al riuso, può essere opportuno prevedere sistemi di accumulo in inverno delle acque depurate.

La fitodepurazione ed il riuso dei reflui

Anche per il riuso, risulta potenzialmente interessante il ricorso a sistemi estensivi di fitodepurazione e lagunaggio a valle degli impianti di depurazione:

  • possono essere usati come stadio finale di disinfezione degli scarichi, garantendo ottime capacità di rimozione della carica batterica, dei parassiti e anche di molecole che interferiscono con il sistema endocrino (Masi et al. 2004)
  • garantiscono un buon rendimento depurativo anche in caso di malfunzionamenti degli impianti (che sono una delle motivazioni di opposizione al riuso: “ma se poi il depuratore si guasta chi mi garantisce che avrò l’acqua che mi serve?”);
  • possono costituire significativi volumi di accumulo, per la regolazione delle portate in funzione dell’andamento della domanda di riuso.

terziari jesi  web

Sistema di post-trattamento dell'impianto consorzile di Jesi (40.000 AE), progettato da IRIDRA

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